Sito del Museo Mineralogico di Isola del Giglio
 

(ASSESSORATO ALLA CULTURA COMUNE ISOLA DEL GIGLIO E REDAZIONE GIGLIONEWS)
con la collaborazione del Prof. Alessandro Fei

3) Filoni selvaggi

Giglio Castello - Strada Panoramica - Poggio della Chiusa - Le Porte* - Cave dei Castellucci - San Francesco - Giglio Castello.

Tempo: 3½ ore. Dislivello: assente. Periodo indicato per l'escursione: qualsiasi. Si consiglia comunque in tarda primavera. Vicinanza al mare: sempre in quota. Spostamenti: l'itinerario può essere percorso quasi interamente in bicicletta, motorino o automobile. Attrezzature: nessuna.

 

*percorso alternativo: Le Porte - Strada Panoramica - Cala del Corvo (la cala del Corvo è raggiungibile solo in barca) - Cala di Pietrabona - Punta del Capel Rosso - Le Porte.

 

Tempo complessivo: 5 ore. Dislivello: assente. Periodo indicato per l'escursione: qualsiasi. Si consiglia comunque in tarda primavera. Vicinanza al mare: sempre in quota. Spostamenti: si consiglia di percorrere l'itinerario con un mezzo quale bicicletta, motorino o automobile.Attrezzature: nessuna.

 

Partiamo dal Castello, splendido monumento al genio e alla creatività isolana. Nei suoi vicoli irreali, frammentati in miriadi di scalini, densi di scorci sempre nuovi e inaspettati, nelle sue piazzette solitarie, nei balzoli, nelle mura e nei torrioni si percepisce il vero senso dell'isola, il sapore del granito e il profumo di mirto e rosmarino selvatico, la fierezza della sua gente, ora contadini, ora pescatori, ora minatori o scalpellini, quella stessa gente che nel 1799 pochi di numero, quasi inermi, respinsero fugandoli duemila tunisini, come recita la lapide commemorativa, sulla facciata del Municipio, a ricordo di una grande impresa compiuta dai gigliesi. Grandi massi di granito apparentemente accatastati uno sull'altro salutano il visitatore alla Porta, quasi a significare che il paese nasce dalla roccia stessa, come se ne fosse un'emanazione, un altare vivente innalzato a perenne gloria di ogni persona che ne sa apprezzare il fascino.

 

Una breve passeggiata attorno alle mura, accompagnata dallo splendore dell'Isola e dal blu del mare, che ci fa pregustare i colori e i profumi, il sole e le rocce, e poi ci lanciamo nell'isola remota, verso i sentieri lontani, verso i paesaggi immutati nel tempo, magicamente indifferenti ai mutevoli capricci della collettività.

 

Superiamo la luce accecante di Piazza Gloriosa, testimone di tante “quadriglie di San Mamiliano” per incontrare, appena poco dopo la caserma dei Carabinieri, uno sbancamento, talvolta adibito a parcheggio, in cui sul granito appaiono sparuti ammassi di rossa limonite, associata a scorie di fusione: si tratta dei resti di un'antica miniera sfruttata all'inizio del XVII secolo, come ha scoperto pochi anni fa il dott. Schiaffino, grande studioso di storia gigliese.

 

Una ripida salita ci porterebbe su per il Poggio della Chiusa, ma proseguiamo per la strada asfaltata: a destra il Golfo di Campese si stende placido sotto di noi, mentre a sinistra la roccia nasconde innumerevoli filoni che intersecano, come una ragnatela di roccia, il granito: filoni bianchi di aplite, filoni gialli di pegmatite, filoni arancioni di pegmatite porfiroide, filoni grigi di quarzo, testimoni muti delle ultime fasi del raffreddamento del magma granitico.

Regina incontrastata è la tormalina schörlite, ora sotto forma di neri e lucenti cristalli allungati, ora sotto forma di masserelle disperse nella roccia; ora riempie tutto il filone, ora invece si nasconde dietro il bianco dell'ortoclasio e il grigio chiaro del quarzo.

 

Mentre camminiamo riflettiamo sugli immani processi endogeni che hanno prodotto il granito: una massa immensa, fusa cinquanta milioni di anni fa a seguito di spaventose forze compressive e risalita fino in superficie, una massa racchiusa dentro una tunica di sabbia che lentamente il vento portava via, una massa in raffreddamento dentro la quale il gas che lentamente si liberava si accumulava in grandi sacche e spaccature dalle quali sarebbero un giorno emersi i filoni mineralizzati.

 

Inebriati dalla luce, dai profumi del rosmarino e del finocchio selvatico e dalla natura prorompente non ci accorgiamo quasi che il Poggio della Chiusa, con la sua grande pineta artificiale, degrada lentamente fino alle sterpaglie de Le Porte, località così chiamata per le due grandi coti ivi presenti. Sterpaglie e rovi, sì, ma che in primavera si tramutano in immensi prati ricoperti di fiori.

 

Qui il granito appare diverso dal compatto biancore delle Cannelle e dell'Arenella: appare giallo, pulverulento, quasi avesse rubato al sole ed al mare i suoi colori, le sue suggestioni ma, incapace di gestirle, ne fosse diventato ormai schiavo. Non è molto che l'enigma è stato svelato: un gruppo di geofisici guidati da David Westerman ha infatti scoperto, nel 1995, che questa altro non è che la parte superiore del plutone granitico, la cosiddetta facies di Pietrabona, una specie di “cappello”, di coperchio a protezione del nocciolo dell'isola, quel “bel granito bianco” che fa bella mostra di sé per l'Italia.

 

E qui possiamo scegliere se continuare il nostro percorso lungo la strada asfaltata, immergendosi nella frescura del bosco del Dolce, o penetrare nei sentieri segreti della Pagana.

 

Chi propende per la prima ipotesi deve proseguire la strada asfaltata. E' d'uopo ricordare che dopo la curva dentro il bosco comandano solo gli scenari e i panorami, ammirabili dalle numerose piazzole di sosta: sul blu incessante del mare si stagliano il rosa dell'Allume, la verticalità della valle del Corvo, il precipizio della Penna e dello Scoglio Nero, le dolci colline del Serrone e di Pietrabona; rovi e sterpaglie che in primavera si trasformano in un immenso giardino fiorito si stendono a perdita d'occhio, intervallate da lunghi filari di greppie e vigne del prezioso “Ansonaco”. Ed ogni passo ci porta sempre più nei silenzi della parte più selvaggia dell'isola, nei luoghi delle sensazioni. In quest'ebbrezza di colori e di profumi si raggiungono i pini di Labredici, da cui parte la mulattiera. E allora si devono vincere gli sterpi, conquistare i sentieri, padroneggiare i singoli sassi per raggiungere le rosse scogliere del Capel Rosso, il granito eroso dal mare e rigenerarsi nella solitudine del faro. Ma ne vale assolutamente la pena.

 

Per chi, invece, si vuole immergere direttamente nei profumi e nei colori dell'Isola non rimane che imboccare il grande sentiero sulla sinistra, preferibilmente a piedi. Il Poggio della Pagana si stende sempre più grande e accogliente sopra di noi, mentre la Cote Ciombella, rotondo masso erratico di granito, spunta dalla vegetazione come un famoso attore da dietro le quinte.

Ancora pochi passi e le cave di Castelluccio, ormai quasi sepolte da sterpaglie fiorite, appaiono come un grande squarcio nella montagna. I Castellucci e gli altri Poggi del crinale dell'isola si stendono ad oscurare l'orizzonte, mentre la Cala delle Cannelle e quella delle Caldane evocano amene sensazioni di mare e di relax.

 

E' da qui che provengono le grandi tormaline, il berillo, il granato, l'ortoclasio... tutto dai filoni di pegmatite porfiroide gelosamente nascosti nel granito o che fanno bella mostra di sé tra gli sterpi. Poco sotto i sentieri sono pieni di masserelle di caolino che testimoniano il lento, inesorabile degrado della roccia, l'irreversibile scorrere del tempo. Ci voltiamo: il Castello chiude l'orizzonte. Lasciamo la Pagana alle sue ineffabili eternità, e torniamo al mondo degli uomini.