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(ASSESSORATO ALLA CULTURA COMUNE ISOLA DEL GIGLIO E REDAZIONE GIGLIONEWS)
con la collaborazione del Prof. Alessandro Fei
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Uno degli ultimi fenomeni connessi alla risalita del plutone magmatico è stata la liberazione di immense quantità di vapore acqueo ad una temperatura e ad una pressione tali da poter tenere disciolti sia metalli (in particolare ferro, ma anche rame, zinco e piombo) che sostanze gassose (tra cui l'acido solfidrico).
Mentre la roccia si stava raffreddando grandi quantità di quest'acqua calda e densa tendevano ad abbandonare il magma non del tutto solidificato formando, |
nella zona di contatto con le rocce soprastanti, enormi sacche piene di fluidi caldissimi.
Il lento raffreddamento di tali soluzioni – si parla addirittura di centinaia di migliaia di anni – ha permesso l'accumulo e la cristallizzazione di circa cinquanta milioni di tonnellate di pirite (solfuro di ferro) e notevoli quantità di quarzo (ossido di silicio), formando così un giacimento filoniano. |
CALCARE CAVERNOSO FILLADI QUARZIFERE GRANODIORITE MINERALIZZAZIONE A PIRITE
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In origine questo era situato a notevoli profondità: per analogia col giacimento piritifero di Monte Argentario, ancora sepolto, si può pensare che si trovasse diverse centinaia di metri sotto la superficie; successivamente, con la messa a nudo della roccia magmatica, i filoni più superficiali hanno iniziato a risentire degli effetti delle acque meteoriche e dell'ossigeno atmosferico, formando il cosiddetto cappellaccio (in gergo minerario brucione) ricco di ossido idrato di ferro (limonite) ed acido solforico.
Le acque meteoriche, arricchite in tali componenti, sono poi confluite in una sorgente acidulo-ferrugginosa situata presso la Cala dell'Allume, sorgente che nel 1835 permise al geologo Giuseppe Giulj l'individuazione del giacimento. |
Questo “giacimento filoniano di contatto” è talmente tipico da affascinare intere generazioni di studiosi, a cominciare da Giuseppe Meneghini, che lo definisce, nel 1865, “sommamente istruttivo per le sue condizioni geologiche”; i massimi contributi sono comunque da ascrivere al grande geologo toscano Bernardino Lotti, che studia a fondo l'accumulo piritifero gigliese (tra il 1883 ed il 1930 pubblica diversi articoli su questo), annotando come esso sia da portare ad esempio non solo per la genesi, ma anche per la sua struttura: orientato pressoché parallelamente alla Valle Ortana, relativamente superficiale (si estende da –25 a –130 m s.l.m.), si presenta sotto forma di filoni quarzosi mineralizzati incassati sia nel granito che nelle rocce sedimentarie; banchi di limonite e di pirite sono presenti sia a Cala dell'Allume (pressoché in superficie) che presso il Golfo di Campese (dove il minerale utile si rinviene in profondità).
Sfruttato fino all'inverosimile (le prospezioni al momento della chiusura della miniera – avvenuta nel 1962 – davano solo 20.000 tonnellate di roccia mineralizzata ancora coltivabile), oggi rivela quel che resta di lui attraverso la splendida “tavolozza” della Cala dell'Allume: accanto all'ingresso principale compaiono il rosso intenso della limonite, le mille tonalità di giallo dello zolfo e della copiapite, il grigio dell'ematite, il rosa pallido della fluorite, il bianco accecante del calcare cavernoso sullo sfondo dell'azzurro intenso del mare; tutto si sublima, come in un quadro di Van Gogh, in un turbinio cromatico che ancor oggi affascina chiunque vi si rechi.
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